Non capivo nemmeno il motivo di tutti quei personaggi che non vedevano l’ora di farsi fotografare dal fotografo ufficiale, per postare poi la foto su Facebook lamentandosi di essersi fatti ritrarre in una delle pose peggiori, anche se ovviamente non è mai così. Ma la mia amica una volta mi disse “che festa è se non c’è nemmeno il fotografo ufficiale?” e allora capii che ero davvero un pesce fuor d’acqua che non capiva queste regole sociali, che stava andando a una serata perché aveva appuntamento con un ragazzo appena conosciuto, e che dall'alto dei suoi vent'anni si sentiva finalmente desiderata.
Però c'erano anche altri amici là, quindi non ero sola.
E comunque avrei dovuto scrivere un articolo, quindi ero giustificata.
Quante cose ci si ripete, pur di fare qualcosa controvoglia.
La serata fu veramente come i miei peggiori incubi, la gente mi aggrediva per farsi fotografare appena vedeva che portavo al collo una macchina fotografica, scattai foto davvero imbarazzanti a sconosciuti, mi aggirai a caso tra le sale della discoteca labirinto finché un flash non mi immortalò in tutta la mia espressione di disagio.
Il mio migliore amico e la sua ragazza si addormentarono, io mi dedicai a dei terribili vodka lemon mentre cercavo di schivare adolescenti sbronzi che si rotolavano sul divanetto di fianco a me.
Il dj francese metteva i suoi migliori pezzo di trench touch e tutti erano felici.
Io meno, perché questo fantomatico ragazzo non solo non si stava facendo vedere, ma nemmeno sentire.
A un tratto lo vidi, dietro la consolle, in quello che si usa chiamare "privè", con la sua ex ragazza, nota in città per essere una semi dj che usava mettere dischi con le tette scoperte e faceva burlesque, oltre che per le sue doti “amorose”.
I ragazzini intorno a me diventavano sempre più chiassosi, ma io non sentivo più niente.
Qualcuno fece crollare un cocktail sulla mia camicia, salvai la macchina fotografica. Due o tre ragazzine limonavano tra loro per mettersi in mostra.
Io mi guardai: coi miei capelli corti, il rossetto che per me pareva fin troppo, una camicetta nera, jeans, stivali col tacco basso. Guardai lei: calze a rete, tacchi alti, trucco forte, capelli lunghi, tatuaggi che inneggiano “cunt”, pin up e fiori enormi spalmati su tutto il suo corpo e sulle sue cosce bene in vista.
Lui la guardava come se fosse un tesoro prezioso da tenere stretta stretta. D'altronde, come avrei potuto pensare di essere desiderabile, io?
No.
Non ero chiaramente adatta a quel posto.
Tantomeno a quel ragazzo, se apprezzava quel genere di donna.
Uscii dalla stanza, lasciando i miei amici in compagnia di un iraniano che si spacciava per un principe e offriva coca e rum, uscii dal locale, in strada, e cominciai a camminare per il centro di Torino, silenzioso.
"I'm giving you a night call to tell you how I feel" mi risuonava nelle orecchie e volevo spegnerla subito, così infilai una canzone che per me significava tutta la mia vita in quel momento, "Midnight City" di M83.
"City is my church", cantavano le mie orecchie tra i muri dei palazzi alti di Torino.
"City is my church", tra il prato e le fontane.
"City is my church" di fronte al grande viale alberato che mi divideva dal tepore del mio letto.
Mi misi a fissare il semaforo rosso, ascoltando la canzone che ormai stava svanendo come la notte dentro l'alba.
“Complimenti per il taglio di capelli!” sentii.
Un ragazzo in bicicletta stava sfrecciando rapido sul viale.
“Fai i complimenti al tuo parrucchiere”. Urlò.
Arrivai a casa alle 5.
Non feci mai i complimenti al mio parrucchiere, ma è l’unico che non ho ancora cambiato dopo 9 anni.