Avevo 19 anni e prima di allora non sapevo neanche cosa fosse il terremoto e non sapevo neanche di abitare in una zona sismica. Erano sempre state cose lontane da me e dalla mia realtà, ne conoscevo l’esistenza grazie a qualche nozione di base imparata a scuola ma niente di più.
Vivevo serena, dormivo con porte e finestre sigillate, attenta a non far filtrare neanche uno spiraglio di luce, nel buio e nel silenzio più totale; rimanevo a casa da sola volentieri senza ansie né paure. Ero spensierata.
Fino a quel maledetto giorno che ha cambiato la vita di tante persone, troppe.
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Ma torniamo un pochino indietro.
Appena diplomata, fresca di studi, mi iscrivo all’università dell’ Aquila e prendo una casa in affitto insieme alla mia amica di sempre, l’altra mia amica delle superiori e un’altra ragazza. Prima del 6 Aprile, posso dire che è stata un’esperienza fantastica che ricordo con gioia e con una punta di nostalgia: 4 ragazze che per la prima volta si ritrovano lontane da casa, sole e con tutta la libertà che comporta.
Ci siamo divertite, ci siamo spalleggiate e aiutate. Abbiamo litigato e pianto; siamo uscite insieme, abbiamo mangiato le schifezze fino a tarda notte (cosa che adesso mi fa inorridire al solo pensiero visto l’alimentazione sana che mi impongo e le sedute in palestra per cercare di sentirmi al meglio e mantenermi in forma); abbiamo studiato e ci siamo impegnate.
Qualche settimana prima del 6 Aprile per la prima volta sentiamo una scossetta, piccola quasi impercettibile. Non abbiamo avuto grandi reazioni perché era la prima volta che ne sentivamo una. Dopo quella, ne sono seguite altre e abbiamo iniziato a spaventarci.
Tutti ci tranquillizzavano, spiegandoci come fosse tutto sotto controllo e nella norma.
Per me non lo era.
Il weekend stesso, come al solito ritorno a casa che dista solo un’ora da l’Aquila e la notte tra domenica e lunedì, la terra trema, per infiniti e interminabili secondi.
Io avevo gli occhi sbarrati, ero paralizzata dalla paura e il mio primo pensiero è stato: L’Aquila non c’è più.
Appena finita, accendo la tv e le immagini che si piazzano davanti ai miei occhi hanno dell’incredibile: un palazzo completamente sgretolato, macerie, urla, polvere e vigili del fuoco ovunque.
Quel palazzo stava nella stessa via dove avevo la casa. Si sono susseguite altre scosse più o meno importanti; la casa dello studente si è rivelata una trappola mortale, spazzando vite, eliminando futuro e progetti di ragazzi troppo giovani.
309 vittime, questo è stato il bilancio dei morti. Non so neanche il numero esatto degli sfollati, persone che si ritrovano senza punti di riferimento, senza nulla, senza una casa.
Quando perdi la casa ti senti come un naufrago in mezzo a un oceano, senza appigli completamente in balia delle onde, solo.
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Ha cambiato per sempre le nostre vite, ci ha scosso dalla nostra tranquillità fittizia, ci ha traumatizzati.
Adesso dormo con la porta aperta, una luce soffusa e riesco ad addormentarmi solo con la tv accesa: il silenzio e il buio mi opprimono adesso. Ogni rumore mi fa tremare e avvertire subito il panico, ovunque io mi trovi.
Ho imparato a conviverci con questo mostro che si è insidiato in me e che sembra non volermi proprio abbandonare.
Sono ritornata in quella città che avevo amato così tanto, con i suoi sbalzi termici che vanno dal freddo polare al caldo torrido senza via di mezzo.
E’ una città fantasma, ha perso l’anima e i ragazzi non riempiono più di vita le strade, c’è un silenzio irreale. Spero che con gli anni ritorni all’antico splendore, ad essere un punto di riferimento per gli universitari e non perché non si pagano le tasse ma perché è valida e che vengano prese le dovute accortezze per quanto riguarda la ricostruzione.
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La città è sismica ma noi possiamo fare di tutto per adeguare le case, le scuole, gli edifici pubblici secondo criteri sismici per essere pronti e non piangere più le persone che hanno avuto semplicemente la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Dagli errori si deve imparare, soprattutto quando ci sono di mezzo vite umane, tragedie e morti.
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L’Aquila la porterò sempre nel cuore, con le sue chiese, il suo castello, fiore all’occhiello della città, la fontana luminosa e le sue viuzze.
Voglio solo tornare a vederla com’è nei miei ricordi. Viva.
