Sono un attore. Quando entro in scena, a teatro, improvvisamente mi trovo sulla tolda di una nave in tempesta. E' la mia nave: sono capitano, mozzo, direttore di macchina, nostromo, nocchiere. E devo considerare ogni cosa, mentre infuria la tempesta: la direzione del vento, la forza dei cavalloni, il cielo, la pioggia, le stelle, il fischio delle balene, lo stridere dei gabbiani. Devo agire a 360 gradi, tenendo d'occhio le vele, ascoltando cosa succede in sottocoperta, in sala macchine, l'umore di ogni marinaio, la tensione delle gomene, l'acqua salata che sbatte in faccia e inzuppa la cerata, il battito del mio cuore, i pensieri vaganti. L'atto teatrale è questo, comprende tutto. Come non puoi pensare ad una nave senza mare, cielo e marinai, così non puoi pensare al palco senza platea, palchi, loggione, fari, quinte, spettatori.
Io navigo col pubblico. Se sono stupefacente, gli spettatori diventano delfini che balzano fra le onde seguendo la nave, se sono blando e insipido, gli spettatori diventano, loro malgrado, squali e orche.