Giorni fa con una mia amica insegnante abbiamo affrontato il tema del riciclo. Giustamente lei sosteneva che oggi nelle scuole viene insegnato il riciclo e che anche mostrando ai ragazzini il ciclo che un singolo scarto fa prima di tornare ad essere prodotto, nella loro testa il problema finisce una volta buttato l’oggetto da riciclare nel giusto cassonetto. Ma guardiamoci un po’ intorno, pensiamo davvero che questo sia sufficiente? La sua proposta? il RIUSO.
Quante volte si finisce per buttare un oggetto che ha esaurito il suo MONO-uso, ma che in realtà ha ancora tutte le proprietà intatte per essere riutilizzato più e più volte. Allora invece che destinarlo a un ciclo lungo e dispendioso in termini energetici, perché non imparare noi stessi a utilizzarlo più volte prima di relegarlo al cestino della raccolta differenziata. Il periodo Natalizio mi ha portato a passare qualche giorno a casa dei miei e proprio lì ho avuto la conferma che questa pratica è insita nella mentalità della loro generazione. Li ho visti mettere da parte le vaschette della ricotta per riutilizzarle come contenitori nei modi più disparati. Anche gli elastici della verdura vengono accuratamente sciacquati e messi in un cassetto. Stesso le bottiglie d’acqua di plastica vengono spesso riutilizzate più volte, anche se qui entra in gioco la salute e la qualità del liquido che esse contengono. Le plastiche infatti non sono assolutamente inerti e nonostante quando si passò da PVC a PET ci hanno garantito che quest’ultimo fosse completamente esente da elementi cancerogeni, direi che fidarsi è bene ma non fidarsi è sicuramente meglio. Il vetro invece è praticamente inerte. Nel periodo di Natale riusare i giornali per impacchettare i regali permette creazioni assolutamente personali. Insomma di idee ce ne sono a migliaia e basta farsi un giro su YouTube e Google per prendere spunti di diversissimo tipo. Questo è il nostro mondo, il mondo che lasceremo ai nostri figli. La cosa che mi sciocca è che il motivo per cui inquiniamo tanto nella maggior parte dei casi è completamente futile. Si chiama Packaging e ha una tale mole di studi dietro che ha dell’incredibile. Già i prodotti in se vengono venduti grazie all’idea che avremo di noi stessi nel momento in cui possederemo quell’oggetto. Il packaging in questa visione estatica è la ciliegina sulla torta. Il rivelatore che ci permette di capire che la scelta di quell’oggetto è stata oculata e che è proprio di grande valore esattamente come l’idea che ci eravamo costruiti nella nostra mente. Nella realtà è solo un inutile e dispendiosissima fonte di inquinamento, che nel migliore dei casi verrà buttata nell’apposito cestino della raccolta differenziata e subirà, come tutto il resto, l’ennesimo lungo processo di riciclo. Insomma un circolo chiuso che non fa altro che bruciare energia. Perché quello che non siamo portati a pensare e qui mi ricollego all’inizio del post, è che è vero che riciclare è sicuramente meglio che nascondere gli scarti sotto un tappeto fatto di colline, ma è vero anche che alla lunga non sarà comunque un sistema sostenibile. Primo perché comunque il processo come dicevo richiede energia, e secondo perché alla lunga la componente non riciclabile andrà comunque ad accumularsi. L’optimum sarebbe tagliare proprio la testa al toro e evitare che alcune forme di spreco vengano perpetrate a monte del processo produttivo. Ma chissà quanto passerà prima che noi ci si renda conto della necessità di porre rimedio.